Autostima, ovvero...
come imparare a non placare la sete con un piatto di pasta
Autostima.
Tema caldo, che si parli di adulti, ragazzi o bambini.
Basta fare un giro in una libreria per trovare titoli altisonanti, libri che promettono risultati eccezionali per aumentare la propria autostima: dai cinque passi, alle quattro strategie vincenti, passando per le tre frasi da pronunciare al risveglio ogni mattina.
Tutto questo fa sembrare l’autostima un muscolo, che funziona solo se allenato, che garantisce prestazioni migliori se accompagnato da un’adeguata alimentazione.
In realtà l’autostima non è affatto così.
Non è qualcosa di concreto, che posso osservare aumentare o diminuire, né che posso comprare o integrare con strumenti all’avanguardia.
L’autostima ha a che fare con la percezione che abbiamo di noi stessi, con una valutazione del tutto personale e soggettiva che diamo agli aspetti che compongono la nostra persona.
La parola “autostima” contiene il termine greco “αυτο∫” (autòs), che significa “se stesso” ed il verbo latino “aestimare”, ovvero “valutare”. Già questa precisazione ci porta nella direzione del significato letterale della parola: è una valutazione di se stessi, l’auto-attribuzione di un valore. Non c’è nulla di razionale o di oggettivo in tutto ciò, ma di irrazionale e soggettivo.
Perché questa precisazione? Perché quando cerchiamo di migliorare la nostra autostima con corsi, libri, frasi ad effetto, stiamo agendo sul piano razionale, ma l’effetto è paragonabile a quello di cercare di saziare la fame con un bicchier d’acqua o di placare la sete con un piatto di pasta: non sono ciò di cui abbiamo realmente bisogno, nonostante siano comunque qualcosa di piacevole ed apprezzabile.
Quindi il primo passo da fare quando si parla di autostima è iniziare a trattarla come qualcosa di astratto, legato all’idea che ho di me stesso, alla valutazione (più o meno consapevole) che faccio della mia persona, delle mie caratteristiche, del mio modo d’essere.
Ma allora perché si parla di alta o bassa autostima?
Potremmo dire che tutto inizia nel momento in cui ci confrontiamo con l’ideale di noi stessi, il modo in cui vorremmo essere, le caratteristiche che vorremmo avere: più questo ideale si distanzia dalla realtà, più sarà facile che questa differenza pesi sul valore che ci attribuiamo e sull’opinione che abbiamo della nostra persona.
C’è chi, a questo punto, potrebbe obiettare che a tutti sarà capitato di voler essere in un altro modo, desiderato di possedere quella o quell’altra caratteristica, perché l’essere perfetto non esiste…!
E come non essere d’accordo..!
Tuttavia proprio questa considerazione apre le porte ad un altro aspetto legato stretto stretto all’autostima: la qualità del dialogo interno, ciò che ci si dice fra sé e sé, le considerazioni che si fanno sotto voce, le immagini della giornata che scorrono davanti agli occhi prima di andare a dormire ed i pensieri legati a queste. Quante volte compare la frase “avrei dovuto”, “devo essere”, in un susseguirsi di devo, devo, devo…? Giudizi severi, che pongono davanti ad obblighi e divieti: di essere diversi, di non essere come si è, senza dare la possibilità di sbagliare o di accettare ciò che intanto si è ottenuto.
Vietare una cosa è la miglior strategia per ottenerla.
Così come accade quando si dice “Non pensare all’elefante rosa!” e la prima cosa che viene in mente è un grande e grosso elefante rosa che ci guarda dall’alto e che per un istante occupa tutta la nostra immaginazione.
Per cambiare è necessario prima di tutto accettare. Accettare di poter avere dei limiti, di aver sbagliato, di essere in una certa maniera.
Quindi non posso pensare di migliorare la mia autostima se innanzitutto non accetto di essere così come sono, magari un po’ timido e impacciato, o insicuro o un po’ iracondo.
Talvolta, quando si parla di emozioni e sentimenti, di passioni e stati d’animo, lo si può fare pensando che questi abbiano l’aspetto di amici di lunga data, compagni di viaggio di tante esperienze. Alcuni sono più ritrosi, altri invadenti, chi con la loro presenza annebbiano la nostra mente, rendendo ogni pensiero lento ed offuscato, altri, al contrario, ci fa sentire più saldi e sicuri.
Perché non poter pensare, allora, che se siamo timidi e impacciati non sia per via dello zampino di un’amica davvero potente, che con la sua presenza è capace di renderci ritrosi, insicuri ed estremamente silenziosi?
“Eccola, è arrivata con tutta la sua aria di fiducia. Mi fa stare in disparte. Ora mi siederò accanto alle altre persone, ascolterò i loro discorsi ed intanto i miei pensieri andranno avanti veloci, ma non abbastanza da permettermi di parlare ed intervenire.”
L’amica-timidezza, un po’ alla volta, inizierò a conoscerla, a chiamarla per nome, a non temere più il suo arrivo, ma anzi, a riconoscerlo per tempo e a prevenirlo. Quando le avrò dato il permesso di entrare in casa mia, con la sua aria austera ed altezzosa, sarà quello il momento in cui l’avrò accettata e presto arriverà anche il momento di lasciarla andare. Le visite si faranno sempre più brevi, alcune saranno addirittura piacevoli, poi sempre più rade. Ma quell’amica che ho tanto temuto resterà sempre nella mia memoria, nei miei ricordi, perché ha fatto parte di me per tanto tempo, lasciandole la porta aperta per quel giorno in cui vorrà tornare a farmi visita. Ora non la temo più.
“Autostima” non significa la presenza di sola forza o l’assenza di debolezze, ma la possibilità della compresenza di queste e dell’accettazione di ogni parte di sé. Come amici o amiche che passano a trovarci con tutta la loro aria di potenza e mistero.